Diciamo addio a Besi Sahar la mattina presto, pronti a scoprire Pokhara, ce ne hanno parlato tutti bene. Saliamo su un furgoncino di circa sedici posti, quindi più veloce e più comodo del solito bus usato fino adesso. Anche le strade percorse oggi sono migliori delle solite piene di buche e sassi. Guardando dal finestrino, ci rendiamo conto che qua è veramente un altro mondo, le sensazioni che proviamo sono un misto tra stupore, divertimento e talvolta incredulità. Arriviamo a Pokhara dopo solo quattro ore di viaggio. Anche qui le strade sono tutte asfaltate, forse questo dettaglio ci fa sembrare la città più ordinata rispetto a Kathmandu.
Alloggiamo nella parte turistica della città, che si affaccia sul Lago Phewa: qui è tutto fatto a misura di turista, è molto differente dal Nepal che siamo abituati a vedere. Sul lungolago, anche se non numerosi, si trovano alberghi e ristoranti molto belli e raffinati. Il primo giorno ormai è già a metà e decidiamo di conoscere questa parte di città: tra negozi di souvenir, venditori ambulanti di succo di frutta espresso (hanno tutto il necessario sulla loro bicicletta, carica di chili e chili di frutta), turisti, taxisti, ristoranti e cani. Il lago è visibile solo attraverso gli alberi, quindi anche se siamo sul lungolago a volte non ce ne rendiamo conto. Il giorno successivo decidiamo di andare ad esplorarlo con una barca a remi; facciamo un giro di circa un’ora, è divertente e ci fa vedere la città da un’altra prospettiva. Ammiriamo anche le grandi montagne innevate, sfondo onnipresente a Pokhara: Daulagiri (8167m), la catena dell’Annapurna (8091m) e il Machapuchare (6993m), unica montagna nepalese dove è vietato l’alpinismo, perché associata a Shiva, quindi considerata sacra e immacolata dalla popolazione locale. Dopo questo momento romantico sul lago, vogliamo andare al tibetan camp di Yamja, a circa trenta minuti da qui.
Ci sono quattro villaggi tibetani a Pokhara, Yamja è il più grande fra tutti. Nel villaggio di Yamja ci abitano i rifugiati tibetani scappati dal Tibet, qui hanno trovato un luogo dove poter continuare ad esercitare le loro tradizioni, provando a vivere come facevano nella loro terra prima che venisse invasa dai cinesi. Il villaggio è composto da un monastero buddista, scuole per i giovani monaci e case dove vivono centinaia di rifugiati. Arriviamo puntuali per la Puja, cerimonia celebrata dai monaci che recitano mantra ad alta voce e suonano strumenti tipici. Avevamo già visto la sala delle cerimonie nel monastero sulle montagne, vicino a Lho, adesso vediamo come viene utilizzata. Sarà un esperienza molto suggestiva che ci fa vedere un pezzo di tradizione tibetana molto importante. Nel villaggio molti abitanti si sono adoperati a vendere souvenir: tra i tanti oggetti di poco valore, con pazienza e occhio critico è possibile trovarne alcuni che sono pezzi di storia tibetana, veri e propri cimeli.
Il Nepal e le sue mille feste
In questo periodo il Nepal è in festa per la seconda volta da quando siamo qui: la prima era il Dashain e adesso si celebra il Tihar. Entrambe sono feste indù, le due più importanti in Nepal. La città è in continuo fermento: lungo la strada ci imbattiamo in donne che ballano musiche tradizionali, gruppi di bambini che girano per negozi cantando e chiedendo il giusto compenso, cani e mucche agghindati a festa con collane di tagete o garofano d’India, fiori tradizionali di un arancio intenso…si respira aria di festa in ogni angolo di città, la musica è ovunque e di sera tutto si adorna di cascate di luci colorate che cadono dai palazzi. L’atmosfera è per i cinque giorni del Tihar vivace e colorata…quando decidono di festeggiare i nepalesi hanno una marcia in più. Siamo già al terzo giorno in città, decidiamo di andare a vedere la Old Pokhara a piedi. Usciamo dalla zona del lungolago e basta poco per renderci conto che la vera anima della città è qui, ci immergiamo in questi luoghi come un tuffo in piscina. Il lungolago è un luogo bello, pulito e trafficato da turisti, costruito ad hoc per noi occidentali. Camminiamo per circa tre ore tra bambini che ci salutano e spesso chiedono una foto e persone locali nella loro quotidianeità; attraversiamo mercati e quartieri in fermento per la festa del Tihar. Nel nostro esplorare la città a piedi incontriamo Karma Poce, un giovane monaco tibetano residente a Yamja; è qui per fare una cerimonia all’interno di un’abitazione. Da essere sulla strada a ritrovarci in casa è stato un attimo, ci sediamo per terra e in poco tempo riceviamo del pane tibetano, frutta e bevande, sotto lo sguardo incuriosito degli abitanti della casa. Appena finito, il tempo di fare due chiacchiere e salutiamo, ringraziamo chi ci ha donato il cibo e fissiamo con Karma Poce per rivederci la mattina seguente a casa sua; sua moglie ci preparerà la colazione ma soprattutto lui vuole farci vedere (provare a venderci) oggetti antichi del suo popolo.
Continuiamo il giro in questa parte della città felici e soddisfatti di quello che abbiamo visto e vissuto. Da qui ci spostiamo nella parte opposta della città, per andare a vedere lo Stupa per la Pace nel mondo, costruito in cima alla collina che sovrasta la città. Lo stupa è una grande costruzione tutta bianca, con alcuni dettagli color oro. Una grande statua del Buddha su un fianco di questa sorveglia dall’alto i visitatori. Da quassú è possibile ammirare un panorama mozzafiato, che va dalla bella città sul lago dal clima tropicale fino alle più alte vette innevate dell’Himalaya.
Oggi sarà l’ultimo giorno a Pokhara prima di tornare a Kathmandu. Andiamo all’appuntamento con Karma Poce a Yamje; questa volta vogliamo arrivarci con i bus locali, anziché con i costosi taxi…sarà un viaggio più lungo ma sicuramente più divertente. Saliamo su bus frequentati solo dai locali e in un modo o nell’altro riusciamo a raggiungere la nostra meta. Viaggiare in bus ci fa immergere ancora di più nella vita di questo popolo con le sue usanze talvolta bizzarre per noi, ma molto divertenti. Alla fermata di Yamje Karma Poce ci sta aspettando e con lui ci dirigiamo alla sua abitazione. Entriamo e conosciamo la sua famiglia mangiando del pane tibetano con burro di yak accompagnato dall’immancabile thè nero. Dopo poco tira fuori la merce: alcune collane fatte con grandi coralli e pietre turchesi, altre fatte con ossa di yak, lavorate e intarsiate di coralli e turchesi, infine le tradizionali campane tibetane. Il corallo e la turchese sono pietre importantissime nella tradizione tibetana, protagoniste di molti gioielli. Ci mostra anche antichissimi thangka, pitture fatte su tele di cotone con colori minerali ed organici. Questi oggetti sono belli e se restiamo ad osservarli e ascoltarli parlano di un Tibet che adesso non c’è più; ma purtroppo l’affare non va in porto, quindi usciamo dalla casa come siamo entrati; ringraziamo e salutiamo Karma Poce e ci dirigiamo alla fermata del bus per tornare in città.
Pokhara è un’altra città rispetto a Kathmandu, è più pulita, meno caotica e sempre sorvegliata dall’alto dalle grandi montagne. Il lungolago è sicuramente piacevole dopo la vita fatta durante il cammino, ma a lungo andare può diventare un passeggiare monotono. La periferia della città, o meglio la parte non destinata ai turisti, è tutt’altra cosa, è vitale ed energica. In città esiste una grande comunità tibetana, ci riteniamo fortunati di averla conosciuta da dentro almeno un pochino. Un popolo devoto a Buddha, recitano mantra continuamente con in mano rosari (chiamati mala, con 108 grani, il doppio rispetto a quelli cristiani) o i cilindri di preghiera; le riteniamo persone buone e pacifiche. Il Nepal è ricco di feste religiose e non, basti pensare che nel giro di venti giorni abbiamo assistito a ben due di queste. Insomma tutte le cose cose che ci avevano detto su Pokhara erano vere, questa città merita di essere visitata.
Marco & Chiara